Sono un ultramaratoneta: il viaggio interiore ha inizio
Da qualche giorno ho concluso la mia prima gara di sei ore, un viaggio meraviglioso alla scoperta del mio io più profondo. Mi sono concesso qualche giorno di riflessione per metabolizzare tutte le emozioni e poterle raccontare al meglio.
La settimana prima della gara, un'influenza mi ha costretto a letto per tre giorni. Contrariamente al solito, non mi sono afflitto, ma ho pensato: "Meglio ora, così ho tutto il tempo per guarire e rimettermi in forze". Superata la fase acuta, mi sono concesso qualche giorno di riposo e poi ho iniziato con la corsa a bassa intensità, utile per far girare le gambe e tenerle attive.
La settimana della gara ero felice, entusiasta e non vedevo l'ora di partecipare a questa grande festa. In passato, prima delle gare, fino alla maratona, non è sempre stato così. Mille dubbi mi assalivano: "Ho fatto tutto bene? Avrò il ritmo nelle gambe? Ho fatto bene gli allenamenti?".
Questa nuova dimensione delle gare ultra mi è servita a scrollarmi di dosso tutte quelle paure e ansie che mi portavo dietro. In tutta la preparazione, mi sono goduto la mia corsa, il tempo che mi dedicavo e la gioia nel gesto atletico. Sono rinato.
Il giorno della gara è arrivato. Ho preparato il mio borsone con tutto il necessario e mi sono diretto al luogo della gara. Appena arrivato, ho notato che l'atmosfera era rilassata, calma e mi sono sentito subito a mio agio. Espletate tutte le formalità, come il ritiro pettorali, mi sono diretto alla zona spogliatoio. Con molta calma mi sono cambiato, preparato e scambiato quattro chiacchiere con i partecipanti.
Mancava poco all'inizio e nuovamente ho trovato un clima calmo e rilassato. Ci dirigiamo alla linea di partenza. Dopo poco, il giudice di gara dà il via alla competizione: si parte!
Il tempo non contava più nulla, le gambe giravano bene e io ero concentrato sul presente, il resto non contava. La mia strategia era mantenere una percezione dello sforzo bassa e costante, che potessi mantenere agevolmente per parecchio tempo. Intanto, la prima ora era trascorsa e io mi sentivo bene. Arrivano anche la seconda, la terza e la quarta, e io mi sentivo bene, ero felice, mi stavo divertendo e avevo ancora le forze di andare avanti.
Circa dopo quattro ore e trenta, avverto un leggero senso di stanchezza. Avevo superato la mia zona di allenamento, ovvero le quattro ore, e ora ero in un territorio inesplorato. Ho pensato: "È normale essere stanchi dopo tutto quel tempo. L'importante è non avere dolori che mi possano portare a un infortunio". Ho respirato con calma e mi sono detto: "Stacca la testa e vai avanti".
Avevo letto diversi libri sull'esperienza delle ultra e tutti parlavano di una crisi nel finale e che, se tenevi duro, all'improvviso, dal nulla, ritornava una forza che ti avrebbe fatto superare il momento e correre molto più velocemente.
Io ero curioso, volevo provare questa esperienza anche io e posso dire che è accaduto veramente. Alla quinta ora ho sentito arrivare una forza che non pensavo di avere. Ho pensato: "Manca ancora molto, cerco di conservarla per arrivare alla fine". Ma quando mancavano quaranta minuti, ho lasciato andare le gambe. È stata un'esperienza unica, ho iniziato a spingere come non mai, superavo gli altri concorrenti che ormai camminavano. Ho fatto diversi giri, lo speaker mi incitava ad ogni giro. Stavo volando, correvo ed ero al settimo cielo. Al termine della corsa, ho ringraziato la vita che mi ha dato questa opportunità e di essere uscito dalla "caverna del dolore".
Alla fine della gara, molti concorrenti, i volontari e lo stesso speaker mi hanno detto che ero l'unico che aveva stampato un sorriso per tutte le sei ore e che questo mio sorriso era contagioso ed emanava serenità.
Conscio del duro lavoro per preparare una gara di lunga distanza e con tutto il rispetto verso di essa, ho voglia di sfidarmi ancora. Grazie alle ultra, sono rinato.
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